di Nicola Melloni
da Esseblog.it
Ci risiamo. La crisi non è ancora finita, anzi, ma già si ricomincia con la grande macchina propagandista del capitale. Forse, in verità, non ha mai taciuto. Una crisi nata nel mercato è stata trasformata in crisi dello Stato e del Welfare State e l’austerity è passata in cavalleria – le proteste son state più tra accademici e giornalisti che tra i banchi parlamentari delle democrazie europee.
Tagli su tagli – e tagli che, come sempre, colpiscono i più poveri – e nessuna vera risposta alle cause della crisi. Ora però si passa alla fase successiva. Si comincia, come spesso accade, in Gran Bretagna, dove diversi commentatori hanno cominciato a battere la grancassa: i ricchi pagano troppe tasse, è ora di ridurle. Forse hanno ragione: il top 1% ha un reddito pari circa all’11% di quello nazionale, ma paga oltre il 24% delle tasse sul reddito. Davvero troppo, dicono.
Non so se sia troppo – in fondo, una volta, uno dei principi fondamentali delle moderne democrazie era la progressività delle imposte fiscali. Quel che so però, che si tratta di propaganda, si presenta un pezzo di verità e la generalizza per motivi politici. In questo caso, è vero che i ricchissimi pagano il 24% delle tasse sul reddito, che però sono solo una parte delle tasse totali. Diamo un’occhiata a dati più completi: il top 10% paga tasse poco inferiori ad 1/3 del proprio reddito lordo. Il 10% più povero paga tasse un poco superiori ad 1/3 del proprio reddito. D’altronde, pare davvero difficile sostenere che la Gran Bretagna – ma non solo lei – sia un paese che tartassa i poveri ricchi. Non a caso, negli ultimi trent’anni , la quota di salario nazionale nelle mani del top 1% è più che raddoppiata, passando dal poco meno del 6% ad oltre il 13%. Non pare proprio una stangata, un assalto al patrimonio.
Va bene, forse non è proprio un problema di equità, ma la battaglia per diminuire le tasse ai più abbienti è anche una questione di efficienza economica. I ricchi investono, dunque bisogna abbassare loro le tasse per tornare alla crescita e diminuire la disoccupazione.
Anche qui, una verità parziale trasformata in una colossale bugia. Per aumentare la disoccupazione servono investimenti, vero. E gli investimenti non ci sono. Il punto critico però è che non ci sono non perché non ci sia abbastanza capitale da investire. Tutt’altro: nel mondo, in questo momento c’è una massa enorme di liquidità che non riesce a trovare sbocchi di investimento. Perché? Perché nessuno consuma. A forza di ridurre i salari, di tagliare lo stato sociale, di aumentare la diseguaglianza, si sono impoveriti lavoratori e classe media. I consumi sono stati tenuti in vita artificialmente col ricorso al debito, ma con la crisi tutto è crollato. Non c’è dunque nessuna necessità di tagliare le tasse per i più ricchi, anzi. Bisognerebbe, invece, abbassare le tasse per la maggioranza della popolazione, finanziandole non con tagli al welfare – che colpirebbe sempre gli stessi – ma propri alzando le tasse ai poveri ricchi.
Semplice, corretto, equo. Peccato che non lo chieda nessuno. E’ l’effetto di 30 anni di propaganda, o se vogliamo, di egemonia. Egemonia davvero ferrea, che la crisi non ha scalfito ma anzi rafforzato. Con una sinistra, o presunta tale, succube, che vota l’austerity, privatizza, taglia lo stato sociale. Politiche di classe camuffate da necessità. Ricette economiche parziali, quando non false, spacciate come scientifiche. Ed allora forse sarebbe il caso di ricordare Gramsci, dobbiamo smontare l’egemonia di regime, raccontando la verità. Perchè la verità è sempre rivoluzionaria.