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La partita infinita intorno alle banche

In Editoriali on 21/10/2013 at 10:24

di Nicola Melloni

da Liberazione

A seguire i giornali italiani e non solo sembra che ormai la crisi sia semplicemente un problema di austerity e Stati spendaccioni. Che tutto sia nato nel settore finanziario e che la crisi del debito sia stata una conseguenza del collasso economico a seguito del crack di Lehman sembra solo un lontano ricordo. In realtà, sotto traccia, senza tanta pubblicità si è lavorato su entrambe le sponde dell’Atlantico per rendere le banche più stabili, anche se i parametri usati sono decisamente troppo timidi, ed il percorso politico di riforma è stato fortemente influenzato proprio dalla lobby bancaria. Quello che soprattutto non si è voluto discutere a fondo è il ruolo del tutto speciale del settore finanziario, che controllando le leve del credito tiene in mano le sorti dell’economia tutta, con un forte potere negoziale – ma lo potremmo definire di ricatto – nei confronti degli Stati. Tant’è che in America come in Europa gode di uno status del tutto particolare, con salvataggi pubblici altrimenti vietati o comunque rarissimi per l’industria e con accesso diretto ad aiuti di Stato – la liquidità a basso costo iniettata dalla Banche Centrali nella pancia degli istituti di credito, che alla fine non è certo servita per riattivare gli investimenti delle imprese ma che ha stabilizzato il mercato finanziario (e ridotto la pressione sullo spread, a dire il vero).
Proprio su questo punto si innesta la sottile battaglia in vista di una possibile unione bancaria a livello europeo. In particolare i tedeschi, come al solito, sono timorosi di vedere le tante banche europee con conti ancora tutt’altro che brillanti salvate coi soldi della Germania e chiedono dunque che siano gli investitori privati – in particolare i detentori di bond bancari – ad assumersi parte della perdita prima che siano gli Stati ed in seconda battuta l’ESM, il fondo comune europeo, a mettere ulteriori fondi salva banche. Una posizione a rigor di logica condivisibile e che cerca di riportare il settore bancario nell’alveo della normalità di una economia di mercato – se una impresa fallisce sono gli investitori e non la comunità tutta a subire le perdite. Con qualche piccolo caveat: innanzitutto che moltissime banche tedesche impegolate in Grecia, Spagna, Portogallo sono state salvate proprio con i fondi europei (con il bel risultato, ad esempio, che i soldi di una economia in crisi come quella italiana sono serviti a ripianare le perdite di una economia decisa mente più florida come quella della Germania). Ma soprattutto col problema che, non essendo intervenuti sulla concentrazione bancaria e sul suo potenziale destabilizzante e di contagio, una stretta sui bond-holders potrebbe scatenare una nuova ondata di panico, rischiando di affondare molti istituti di credito con conseguenze devastanti sia sull’economia reale che sul resto del settore finanziario. Ecco allora spiegata la lettera segreta di Draghi alla UE in cui si chiede prudenza nel trattare la delicata questione delle perdite dei privati.
A pensarci bene, purtroppo, ognuna delle due parti, ha serie motivazioni. Le perdite agli investitori sono sacrosante – anche perché altrimenti si continua a perpetuare un sistema di incentivi malato che remunera il profitto e socializza le perdite. Allo stesso tempo, però, una nuova ondata speculativa metterebbe definitivamente in ginocchio Stati ed economie, ulteriormente aggravando una situazione già ora disperata. La soluzione starebbe in una profonda revisione delle regole che regolano la finanza, in uno spezzettamento delle banche, in una più chiara regolamentazione che sottolinei limiti e doveri di un settore che per sua natura rischia di essere quasi pubblico. Senza ripensare i fondamenti dell’economia moderna, il dilemma del salvataggio delle banche è destinato a rimanere insolubile.

 

La battaglia per il nuovo governatore della FED

In Editoriali on 29/07/2013 at 08:56

 

di Nicola Melloni

da Liberazione

Il mandato del governatore della Fed, Ben Bernanke, sta per scadere ed è cominciata la corsa per la successione. Per mesi il candidato più accreditato è stato Janet Yellen, già nel consiglio della stessa Fed, un’insider che garantirebbe una certa continuità con l’amministrazione precedente. Le ultime news da Washington, però, danno in fortissima ascesa, anzi, come candidato principale Larry Summers, già consigliere economico di Obama, preside di Harvard, vice-Segretario e poi Segretario del Tesoro con Clinton, e capo economista alla World Bank.
Un nome di grande spessore e, probabilmente, il peggior nome possibile per il ruolo in questione. Per molte ragioni. Summers è il classico esempio di economista prestato alla politica che non l’ha mai azzeccata, ma avendo sempre sbagliato a favore dei ricchi e potenti è sempre rimasto sulla cresta dell’onda. Più sbaglia, più sale, alla faccia della mitizzata meritocrazia americana. Chiunque sia familiare con il lavoro accademico di Summers riconoscerà immediatamente i tratti del neo-liberista più dogmatico e pervicace. Un credente, anzi un sacerdote delle virtù del mercato, quasi a prescindere, uno dei padri fondatori del Washington Consensus. Un ideologo capace di sostenere che “le leggi dell’economia sono come quelle dell’ingegneria. Funzionano ovunque applicate”, dimostrando un leggendario disprezzo per storia, cultura, istituzioni. E le leggi di Summers, chiaramente, sono quelle del mercato, in particolare la triade liberalizzazione, stabilizzazione, privatizzazione. Summers è stato il precursore dell’economia come ingegneria sociale, incurante dei costi da scaricare sempre ed invariabilmente sugli sconfitti delle riforme. Negli anni 90, alla Banca Mondiale come alla Casa Bianca, è stato un grandissimo sostenitore della liberalizzazione finanziaria, dei Programmi di Aggiustamento Strutturali, dell’austerity post-crisi nei paesi in via di sviluppo e l’architetto delle cosiddette riforme in Russia che misero sul lastrico milioni di persone mentre un pugno di oligarchi si arricchiva in maniera sfrenata.
Il suo operato all’interno delle istituzioni politiche è addirittura peggiore. Da sempre vicinissimo a Wall Street ha fatto tutto quanto possibile per favorire le grandi banche, opponendosi negli anni 90 alla regolarizzazione del mercato dei derivati, mentre proprio durante il suo mandato al Ministero del Tesoro veniva cancellata la legge Glass-Steagall che impediva la commistione di ruoli tra banche d’affari e banche commerciali, creando la madre di tutti i mostri, la fusione bancaria che portò alla nascita di City Group, l’emblema della banca troppo grande per fallire – per altro in seguito diretta da Jack Rubin, predecessore e capo di Summers al Ministero del Tesoro. Da non credere, ma è proprio la vicinanza con Wall Street la più grande credenziale per la sua corsa a Banchiere Centrale, con Obama convinto che l’unica maniera per lavorare di concerto con le grandi banche sia di avere il loro rispetto. Un rispetto guadagnato a suon di favori, ma conta poco.
Nel suo periodo “sabbatico” dalla politica, col ritorno ad Harvard, Summers ha collezionato un’altra serie infinita di disastri, bruciando i soldi dell’Università durante la crisi finanziaria, attaccando pubblicamente tutti coloro che mettevano in guardia contro le attività rischiose delle banche e offendendo le donne, “geneticamente meno adatte alle scienze” – una gaffe di portata simile a quella in cui l’allora capo economista della World Bank sosteneva che fosse economicamente efficiente spostare le industrie più inquinanti nel Sud del Mondo dove l’impatto su popolazioni con una mortalità già molto alta sarebbe stato insignificante.
Il ritorno a Washington con Obama non fu certo dei migliori. Summers sottostimò pesantemente lo stimolo fiscale necessario per riprendersi dalla crisi, ma soprattutto si oppose alla riforma Volcker che ha timidamente cominciato a mettere qualche paletto all’attività delle banche.
Non bastasse, Summers ha un carattere impossibile, cosa che lo rende fondamentalmente incompatibile con un ruolo come quello di Governatore della Fed, fatto di lavoro di gruppo e di coordinamento con gli altri membri del Consiglio e con altre istituzioni. In termini di politica monetaria, le sue credenziali sono tutt’altro che solide. Summers ha pochissima competenza in materia di politica monetaria – negli anni della crisi si è occupato di politica fiscale – ma i pochi commenti fatti e la sua storia intellettuale e politica portano a pensare che creda molto poco negli stimoli monetari e, soprattutto, che privilegi il controllo dell’inflazione sul raggiungimento della piena occupazione.
Dopo il periodo Bernanke – che a grandi linee possiamo definire positivo, con la Fed che ha contenuto quasi da sola l’accelerazione della crisi e avendo contribuito a salvare dalla bancarotta molte banche che avrebbero poi travolto l’intera economia – il prossimo Governatore della Fed avrà l’importantissimo ruolo di costruire le fondamenta per il prossimo sistema economico-finanziario. Un compito delicatissimo. Affidarlo a chi, in prima persona, ha posto le basi per l’orgia finanziaria degli ultimi 15 anni e che, in ultima istanza, può essere ritenuto responsabile non certo meno delle grandi banche per la crisi attuale, non sarebbe solo uno sbaglio clamoroso. Sarebbe un delitto.

Le banche e i soldi alla Grecia

In Da altri media on 19/06/2013 at 10:21

Sorpresa, sorpresa! Attac è andata a spulciare i conti della Grecia e ha dato un occhio a come sono stati usati gli aiuti europei e ha scoperto che il 75% di questi è andato alle banche, agli hedge fund e agli “oligarchi” greci, cioè in generale al sistema finanziario. Questo mentre la dioccupazione aumentava, i salari venivano tagliati, le medicine scarseggiavano, la tv veniva chiuso. Questo lo stato della democrazia oggi in Grecia ed in Europa. La storiella è sempre la stessa: bisognava salvare il sistema finanziario se no l’economia reale sarebbe stata distrutta – anche se peggio di come è andata è francamente difficile poterselo immaginare. E quindi, soldi europei – da resistuire!! in conto ovviamente al popolo greco – per salvare le banche, e legnate sulla testa dei cittadini con i programmi imposti da Bruxells per sborsare i soldi per i ricchi. Ma naturalmente i tedeschi ancora pensano che sono loro a pagare i conti dei greci fannulloni…..

ATTAC STUDY TRACES RESCUE FUNDS FOR GREECE

da DW.de

The anti-globalization pressure group Attac has published a study indicating that the bulk of the rescue funds made available for Greece have tended to go to help banks. Ordinary people haven’t profited much, it said.

More than three quarters of all rescue funds for Greece went directly to banks and rich investors, the German daily Süddeutsche Zeitung reported on Monday, quoting a fresh study by the anti-capitalist pressure alliance Attac.

The group said out of the 207 billion euros ($276 billion) earmarked so far by international creditors, 160 billion euros ended up with Greek lenders and investors.

“Political elites have not been trying to rescue the Greek population, but the finance sector,” said Lisa Mittendrein from Attac Austria.

According to the calculations made by the pressure group, the government in Athens put 58 billion euros into the domestic bank’s recapitalization program. Another 55 billion euros were used to pay back sovereign bonds and 11 billion euros more to buy back accumulated debt.

Berlin not amused

Attac maintained that an additional 35 billion euros were spent with a view to sweeten the 2012 debt reduction scheme also known as the Greek haircut for affected insurance companies and investment funds.

The group also reported that only a small proportion of the money that actually did reach the Greek state budget could be used do anything meaningful for the population, as 35 billion euros had to be spent on debt servicing for the holders of sovereign bond bills.

“The widespread belief supported by European politicians that the various rescue packages for Greece have helped ordinary people in the country is no longer tenable,” Mittendrein commented. Instead, she argued, Greeks have been made to foot the bill in terms of harsh austerity measures with all the known drastic social consequences like record-high unemployment.

The German government rejected the conclusions made by Attac, arguing that Greeks have profited from the government in Athens having more time to implement reforms. Berlin also claimed that all Greeks had profited from saving lenders from bankruptcy.

L’austerity uccide le banche (dei paesi in crisi)

In Capitalismo on 13/05/2013 at 08:28

L'austerity uccide le banche (dei paesi in crisi)

C’è poco da commentare, basta guardare il grafico. Nei famigerati PIIGS l’austerity ha messo in ginocchio l’economia reale, che, per parte sua, sta distruggendo il sistema finanziario – le imprese quasi in bancarotta non pagano i loro debiti – che a sua volta non può reggere senza aiuto pubblico, che metterà in ginocchio le finanze pubbliche, che richiederanno più austerity.
Ben scavato, vecchia talpa.