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La macchia d’olio

In Internazionale on 19/06/2013 at 19:26

di Simone Rossi
Poco più di una settimana fa nella città brasiliana di San Paolo si tenne una manifestazione per protestare contro l’aumento della tariffa del trasporto collettivo urbano. Cortei e presidi seguirono nei giorni successivi, anche in altre grandi città del paese, come descritto su questo blog, e nel fine settimana, lambendo il torneo internazionale di calcio ospitato nel Paese.
La sera di lunedì 17 giugno il Brasile ha conosciuto una mobilitazione popolare di dimensioni inconsuete, come non si vedeva dalla campagna Direta Já nel 1983/84 con cui i cittadini chiesero la fine della ventennale dittatura. Secondo le stime centomila persone sono scese per le strade di Rio de Janeiro e cinquantamila in quelle di San Paolo e di Belo Horizonte, le capitali degli stati dove ha sede il potere economico e finanziario nazionale. Le manifestazioni si sono ripetute nei giorni di martedì è mercoledì, allargandosi ai centri minori ed all’estero, presso le comunità degli emigrati. Come accaduto in Turchia, una questione locale, apparentemente insignificante come l’aumento della tariffa del trasporto, ha funto da catalizzatore per un movimento di protesta che richiede servizi pubblici migliori e lotta alla corruzione; a questo punto, la decisione di ridurre le tariffe prese da molte giunte comunali nelle ultime ore sembrerebbe giunta fuori tempo massimo, avendo la protesta assunto rivendicazioni più ampie. Nonostante il Brasile abbia conosciuto una consistente crescita economica nel decennio scorso i cui frutti sono stati parzialmente redistribuiti tra la popolazione con programmi di aiuto finanziario alle fasce più deboli, esso ha ancora un elevato tasso di disuguaglianza sociale. I governi di centrosinistra che si sono succeduti dal 2003 non hanno introdotto riforme che correggessero le diseguaglianze e riducessero il potere delle élite che da decenni dominano la nazione. Sanità ed istruzione di qualità sono ancora appannaggio di chi può permettersele, mentre la larga fetta di poveri e membri della piccola borghesia ha accesso ad un servizio pubblico inadeguatamente finanziato. Anche il relativo benessere derivato dagli aumenti salariali e dall’emersione del settore informale è stato intaccato dall’inflazione reale che negli ultimi due anni ha toccato quota 15%, colpendo maggiormente le classi medie e basse.
Mentre i popoli europei sembrano rassegnarsi alla macelleria sociale, i paesi cosiddetti emergenti hanno conosciuto negli ultimi tre anni rivoluzioni, scioperi e proteste. Se essi siano preludio di una fine del dominio del modello neoliberista nel mondo non è possibile predirlo, tuttavia la vetrina scintillante della globalizzazione inaugurata quasi quattro decenni fa sembra incrinarsi e perdere lustro.

#Paulista. Non solo Istanbul.

In Internazionale on 14/06/2013 at 21:40

di Simone Rossi
Nelle ultime due settimane, gli spazi di cronaca internazionale dei mezzi di informazione europei hanno dato ampio risalto alle proteste ad Istanbul ed in Turchia, scatenate dall’ennesimo piano di speculazione edilizia a scapito dell’ultima area verde del centro cittadino ed allargate alla richiesta di maggiore democrazia e laicità. Contemporaneamente in un’altra megalopoli, in un’altro continente, si ripetevano scene analoghe di protesta e repressione.
Dall’inizio di questa settimana alcune migliaia di persone sono scese quotidianamente nelle strade di San Paolo del Brasile, maggiore città e capitale finanziaria del Paese, per protestare contro l’aumento del 6.7% della tariffa del trasporto pubblico urbano a R$3.20. Per quanto esiguo possa apparire tale aumento, esso inciderà sul bilancio delle migliaia di famiglie pauliste che un reddito inferiore al salario medio, spesso al di sotto di quello minimo fissato per legge a R$678, già gravato dall’erosione del potere d’acquisto a fronte di un’impennata dei prezzi dei generi di base. Secondo il calcolo effettuato dall’editorialista de Istoé independente ogni pendolare si troverà a spendere almeno R$192 al mese, pari ad oltre il 28% del salario minimo, per potersi recare la lavoro e rientrare a casa. In una area metropolitana con oltre diciotto milioni di abitanti ed una forte carenza di infrastrutture di trasporto, venti centesimi per un biglietto d’autobus possono fare la differenza nell’inclusione sociale dei più poveri, come affermato dal Movimento Passe Libre, che lotta per un sistema di trasporto collettivo a gestione pubblica ed universale.
Nel quarto giorno di protesta il corpo antisommossa della Polizia Militare, incaricato di mantenere l’ordine, ha represso con violenza i manifestanti utilizzando lacrimogeni e proiettili di gomma e, secondo quanto riportato sulla pagina OccupyBrazil di facebook, scatenando una caccia all’uomo per le strade della città. Il bilancio della giornata è stato quello di una scena di guerriglia urbana, con traffico bloccato, un autobus dato dalle fiamme da alcuni manifestanti, vetrine rotte e duecentotrentadue persone in stato di fermo. I rappresentanti delle istituzioni, dal sindaco Haddad, al governatore dello Stato di San Paolo Alckmin fino al Ministro della Giustizia federale Cardozo hanno condannato la violenza dei manifestanti ed hanno promesso di agire con il pugno duro contro coloro che definiscono facinorosi che agiscono con finalità di destabilizzazione politica. Il Movimento Passe Libre ha rilasciato una dichiarazione in cui si specifica che i manifestanti hanno agito violentemente in risposta agli attacchi delle forze dell’ordine, intervenute con violenza ingiustificata su una manifestazione fino ad allora pacifica, con la motivazione di impedire che il corteo proseguisse oltre il limite preventivamente concordato.
Quanto descritto nel comunicato del movimento trova un riscontro nelle valutazioni effettuate dall’organizzazione Amnesty International in una nota del 13 giugno in cui, caldeggiando una soluzione pacifica alla disputa sulla tariffa del trasporto in San Paolo, è espressa preoccupazione per il frequente ricorso alla repressione violenta delle manifestazioni nella principali città brasiliane ed all’incarcerazione di manifestanti e giornalisti, in una radicalizzazione del confronto politico. Difatti, anche nelle altre città in cui si protestava per il costo del trasporto collettivo urbano, tra cui Rio de Janeiro, la reazione della polizia ha assunto forme violente. Solo dieci giorni prima dell’inizio delle manifestazioni in San Paolo, inoltre, le forze dell’ordine avevano rimosso violentemente gli indio che avevano occupato le terre dei loro avi inglobate nella fattoria di un politica locale; sorte analoga era toccata ai nativi che si opponevano agli espropri per la costruzione della diga di Belo Monte, in spregio ai diritti garantiti loro dalla costituzione e dal diritto internazionale.

#Paulista. Non solo Istanbul.

In Internazionale on 14/06/2013 at 21:40

di Simone Rossi
Nelle ultime due settimane, gli spazi di cronaca internazionale dei mezzi di informazione europei hanno dato ampio risalto alle proteste ad Istanbul ed in Turchia, scatenate dall’ennesimo piano di speculazione edilizia a scapito dell’ultima area verde del centro cittadino ed allargate alla richiesta di maggiore democrazia e laicità. Contemporaneamente in un’altra megalopoli, in un’altro continente, si ripetevano scene analoghe di protesta e repressione.
Dall’inizio di questa settimana alcune migliaia di persone sono scese quotidianamente nelle strade di San Paolo del Brasile, maggiore città e capitale finanziaria del Paese, per protestare contro l’aumento del 6.7% della tariffa del trasporto pubblico urbano a R$3.20. Per quanto esiguo possa apparire tale aumento, esso inciderà sul bilancio delle migliaia di famiglie pauliste che un reddito inferiore al salario medio, spesso al di sotto di quello minimo fissato per legge a R$678, già gravato dall’erosione del potere d’acquisto a fronte di un’impennata dei prezzi dei generi di base. Secondo il calcolo effettuato dall’editorialista de Istoé independente ogni pendolare si troverà a spendere almeno R$192 al mese, pari ad oltre il 28% del salario minimo, per potersi recare la lavoro e rientrare a casa. In una area metropolitana con oltre diciotto milioni di abitanti ed una forte carenza di infrastrutture di trasporto, venti centesimi per un biglietto d’autobus possono fare la differenza nell’inclusione sociale dei più poveri, come affermato dal Movimento Passe Libre, che lotta per un sistema di trasporto collettivo a gestione pubblica ed universale.
Nel quarto giorno di protesta il corpo antisommossa della Polizia Militare, incaricato di mantenere l’ordine, ha represso con violenza i manifestanti utilizzando lacrimogeni e proiettili di gomma e, secondo quanto riportato sulla pagina OccupyBrazil di facebook, scatenando una caccia all’uomo per le strade della città. Il bilancio della giornata è stato quello di una scena di guerriglia urbana, con traffico bloccato, un autobus dato dalle fiamme da alcuni manifestanti, vetrine rotte e duecentotrentadue persone in stato di fermo. I rappresentanti delle istituzioni, dal sindaco Haddad, al governatore dello Stato di San Paolo Alckmin fino al Ministro della Giustizia federale Cardozo hanno condannato la violenza dei manifestanti ed hanno promesso di agire con il pugno duro contro coloro che definiscono facinorosi che agiscono con finalità di destabilizzazione politica. Il Movimento Passe Libre ha rilasciato una dichiarazione in cui si specifica che i manifestanti hanno agito violentemente in risposta agli attacchi delle forze dell’ordine, intervenute con violenza ingiustificata su una manifestazione fino ad allora pacifica, con la motivazione di impedire che il corteo proseguisse oltre il limite preventivamente concordato.
Quanto descritto nel comunicato del movimento trova un riscontro nelle valutazioni effettuate dall’organizzazione Amnesty International in una nota del 13 giugno in cui, caldeggiando una soluzione pacifica alla disputa sulla tariffa del trasporto in San Paolo, è espressa preoccupazione per il frequente ricorso alla repressione violenta delle manifestazioni nella principali città brasiliane ed all’incarcerazione di manifestanti e giornalisti, in una radicalizzazione del confronto politico. Difatti, anche nelle altre città in cui si protestava per il costo del trasporto collettivo urbano, tra cui Rio de Janeiro, la reazione della polizia ha assunto forme violente. Solo dieci giorni prima dell’inizio delle manifestazioni in San Paolo, inoltre, le forze dell’ordine avevano rimosso violentemente gli indio che avevano occupato le terre dei loro avi inglobate nella fattoria di un politica locale; sorte analoga era toccata ai nativi che si opponevano agli espropri per la costruzione della diga di Belo Monte, in spregio ai diritti garantiti loro dalla costituzione e dal diritto internazionale.