Renzi non ha vinto, ha stravinto. Complimenti. E complimenti agli elettori che hanno affollato i seggi, sempre meglio che adorare leader supremi che si manifestano nei blog. La partecipazione attiva è il sale della democrazia, e il PD sicuramente ha ancora una base molto solida di gente disposta a partecipare. E’ una bella notizia.
Al contempo molti temono che la vittoria di Renzi sia una brutta notizia per la sinistra. Lo temeva anche Susanna Camusso, ma gli iscritti alla CGIL non devono averla ascoltata più di tanto. Lo temevano, solo l’anno scorso, tanti elettori del PD, spaventati dal nuovo berluschino. Lo temevano Vendola e SEL, impegnati pancia a terra per Bersani invece che per sostenere la propria candidatura alle scorse primarie. Di sicuro non sono in molti a temerlo oggi. La veccha guardia è stata cacciata, con la sconfitta clamorosa – nei numeri – di Cuperlo. Anche se poi, in realtà, la maggior parte della vecchia nomenklatura, quella classe dirigente che Renzi ieri ha detto di aver sconfitto, si è arroccata dietro il sindaco di Firenze: Fassino, De Luca, Bassolino, Veltroni – ieri subito ricomparso in Tv! Come se nel disastro di questi vent’anni loro non ci fossero stati, come se i problemi della sinistra iniziassero e finissero con D’Alema e Bersani. Certo però, Renzi, ha lottato in prima persona (e con coraggio, va detto, quando non era facile) contro il vecchio apparato, ha vinto, ha convinto. E quella che sarebbe dovuta essere la sinistra del partito, con Civati, ha solo preso atto di essere inesistente e ininfluente.
Dunque il popolo del PD non ha più paura di Renzi, anzi, lo osanna. Con ragione, io credo. Renzi è la sintesi, finalmente, di quello che doveva essere il PD e finora forse non era mai stato. Doveva essere un partito progressista e moderno, era un’unione di due partiti, per anni diviso in tante correnti, solidarietà di ex-partito, con i diessini tutti insieme, la riserva democristiana a fare da muro contro la socialdemocrazia. Renzi, che pure viene dai giovani democristiani, ha cominciato a far politica vera ai tempi dell’Ulivo, non del PCI. Non ha paura a dirsi di sinistra, anche se è la sua idea di sinistra – ci torneremo – che ben si concilia con un certo conservatorismo cattolico ed un approccio economico liberale. E’ per eccellezza il politico post-ideologico (nella vulgata corrente, come se essere liberali, appunto, non fosse una ideologia…), il figlio vero e umano della fusione a freddo di PCI e DC.
Un vero piddino, non un ex qualcosa. Di destra? Si, secondo i miei standard. Ma non secondo gli standard di questi decenni. Renzi guarda a Blair e Clinton, icone della sinistra italiana negli anni 90. Guarda con simpatia alla tradizione socialdemocratica europea ed è meno “americano” di Veltroni. Si congratula con Marchionne – come Chiamparino, Fassino, Veltroni, etc etc etc – ma ha anche il coraggio di rispondergli male, coraggio sempre mancato ai personaggi di cui sopra. Attacca la CGIL (anche D’Alema lo fece), ma sarebbe soprattutto il caso di non dimenticarsi che gli attacchi ai lavoratori, e non al sindacato, li fece quella sinistra che votò la legge Treu e la legge Fornero – che Renzi vuole abrogare. Addirittura Renzi ha criticato le privatizzazioni – strumentalmente, forse, ma lo ha fatto. Gli altri, quelli che erano “di sinistra” hanno fondato il loro programma di governo proprio su quelle privatizzazioni e sulle famose liberalizzazioni.
Insomma, cosa c’era rimasto, nel PD, ed anche nei suoi predecessori, di sinistra classica? Nulla. Il conflitto sociale era sparito, il mercato era idolatrato, il lavoro non difeso. La diseguaglianza era esplosa. L’educazione pubblica martellata mentre si davano i soldi alle private. Di sinistra nel PD erano rimaste le feste e la partecipazione popolare, e la clamorosa vittoria di Renzi mi pare che confermi quantomeno quest’ultima importante caratteristica. Sul resto, non vedo nessuna discontinuità tra il nuovo leader e le politiche del passato. Non sarà più a destra, non sarà più a sinistra.
La scelta non è mai stata sulle grandi categorie politiche. La differenza tra i candidati – come quella in passato tra Veltroni e D’Alema – non era sul contenuto, ma sulle sfumature e sulla forma. I vari leader prestano più o meno attenzione ai diritti civili, più o meno interesse per le imprese, sono più o meno ambientalisti. Le strategie, poi, sono molto diverse: vocazione maggioritaria con Veltroni – e direi con Renzi – coalizioni più larghe con D’Alema, Bersani, etc. Con Renzi si è scelto un nuovo leader, ma non si è scelto un nuovo partito. Potrà essere più onesto, più diretto, più moderno ma non sarà diverso nella sostanza da quello che c’era prima. Saranno contenti i vincitori, ma non c’è da preoccuparsi per gli sconfitti.