di Simone Rossi
In questi ultimi tempi è tornata nell’agenda politica e nel dibattito pubblico la questione dell’alienazione dei (reisdui) servizi e beni pubblici; che si tratti dei Conservatori britannici o dei Democratici italiani, la soluzione alla crisi economica e per il rilancio dell’economia passa attraverso la vendita del patrimonio pubblico residuo. Da Royal Mail, Poste di Sua Maestá, al patrimonio demaniale italiano i governi sono intenzionati a (s)vendere quanto possibile, nonostante l’opinione pubblica dei rispettivi Paesi sia contraria. Sotteso a queste politiche, il cui obiettivo è ridurre la presenza dello Stato nella società e di ingrassare ulteriormente il grande Capitale, è il discorso secondo cui la gestione privata di beni e servizi di interesse pubblico sia mirata a fornire ai cittadini ed ai consumatori il miglior prodotto possibile al minor costo possibile. Un discorso che assume caratteri mitologici se si considera la realtà dei fatti, in cui l’interesse principale della aziende privatizzate, spesso operanti in regime di oligopolio o di monopolio, è la massimizzazione del profitto anche a scapito dell’efficienza e della qualità; basti pensare alle ferrovie britanniche, tra le più costose in Europa a fronte di un servizio tutt’altro che eccellente, o dei servizi idrici privatizzati in alcune città italiane, con un corollario di moti tra i consumatori infuriati.
Al tema dedica una riflessione il settimanale brasiliano Carta Capital, in una articolo pubblicato sul sito il 7 gennaio c.a., che merita attenzione. Riporto la traduzione di seguito:
“Stato inefficiente”, un mito mediocre
di Rafael Azzi
da Carta Capital
traduzione Simone Rossi
L’ideologia liberista propugna l’idea secondo cui l’iniziativa privata sia in grado di produrre beni e servizi in modo efficiente ed economico; per contro lo Stato, considerato inefficiente e corrotto, sarebbe semplicemente un ostacolo al buon funzionamento del mercato. Si tratta di un’ideologia di stampo manicheo, che proclama la dicotomia tra lo Stato cattivo ed il mercato buono. In molti casi, queste visione si mostra in accordo con la realtà e, quando messa in pratica da un certo tipo di governo, si trasforma in una profezia autoavverantesi.
Secondo la medesima logica, i dipendenti pubblici sono considerati corrotti e pigri. Si tratta di un pregiudizio diffuso e inconfutabile anche di fronte al fatto che esistono dipendenti pubblici esemplari nei vari settori e che nelle organizzazioni private ci sono lavoratori che adattatisi alla cultura aziendale riescono ad essere premiati pur evitando di lavorare o ricorrendo a metodi poco etici.
Alla base dell’argomento di chi sostiene questo punto di vista manicheo vi è la questione della stabilità. Per legge i dipendenti pubblici hanno diritto alla stabilità dell’impiego dopo aver trascorso un periodo di valutazione di tre anni. Questo fatto giustificherebbe il luogo comune secondo cui essi lavorano meno dei dipendenti delle aziende private. Tale spiegazione si basa sulla premessa per cui il principale motore dell’efficienza sul lavoro sia il timore di esser licenziati. In verità studi recenti dimostrano che questa idea non è corretta. Ci sono differenti motivazioni al lavoro. I principali stimoli, come la percezione di svolgere un incarico significativo, il riconoscimento da parte degli altri e la possibilità di progredire possono essere presenti o assenti tanto nel settore privato come nel pubblico impiego.
L’argomento di un mercato più efficiente in molti casi non trova fondamento. Anzi, in alcuni settori la logica mercantilistica sembra agire in modo contrario al principio di efficienza. Per quanto concerne la sanità, ad esempio, è possibile confrontare due sistemi ai poli opposti: gli Stati Uniti d’America e Cuba. Gli indici dell’aspettativa di vita e della mortalità infantile dell’isola caraibica e degli USA sono praticamente i medesimi. A fronte di ciò la spesa annuale pro capite per la sanità negli USA è di US$5’711 mentre Cuba spende US$251. In questo modo lo Stato cubano sostiene un costo per lo meno venti volte inferiore per ottenere un risultato equivalente a quello del settore privato nordamericano.
Questo succede perché lo Stato può investire là dove serve per affrontare direttamente le cause dei problemi e così facendo portare l’assistenza medica a chi più ne ha bisogno. Nel 2001 una commissione del parlamento britannico visitò l’isola caraibica e riferì che l’esito della politica sanitaria locale era dovuto alla forte enfasi sulla prevenzione delle malattie ed all’impegno a fornire un servizio medico diretto alle comunità locali. Tale procedimento produce risultati migliori con meno risorse. Il mercato insegue costantemente la logica della massimizzazione del profitto, che non sempre si mostra la più efficace per affrontare i problemi sociali; nelle parole di Bill Gates: “capitalismo significa che si fa più ricerca sulla calvizie maschile che su malattie come la malaria.”
Nel caso dell’ideologia liberista al potere, molte volte ciò che succede è che essa diviene una profezia che si autoavvera. Partendo dal principio per cui lo Stato è inefficiente e corrotto consegue che lo Stato investe poco, paga male i propri dipendenti ed indebolisce i servizi pubblici. Lo scarso riconoscimento e le cattive condizioni di lavoro generano insoddisfazione e scioperi. Le paralisi a loro volta diventano un argomento in più per affermare che il servizio pubblico è intrinsecamente di bassa qualità.
È il caso, ad esempio, del sistema carcerario brasiliano. I governi recenti hanno investito poco in questo campo e non si sono interessati al rinnovamento del sistema detentivo medioevale del Paese. Così anziché prendere le redini della situazione, lo Stato escogita una soluzione di rapido effetto e che soddisfa tutti: l’iniziativa privata è tirata in ballo per poter finalmente risolvere la questione, essendole affidato dallo Stato il compito di costruire ed amministrare le case di pena. Sono in molti a guadagnare da questo, meno la società: i politici che esternalizzano il problema e gli imprenditori che ricevono il denaro direttamente dal Governo.
Un altro caso da menzionare è quello del trattamento dei tossicodipendenti. Mentre molti Centri di Assistenza Psichico-sociale (CAPS) sono trascurati, l’Esecutivo propone come soluzione l’internamento in comunità terapeutiche private. In questo caso va osservato che non esiste nemmeno una “logica di mercato” propriamente detta che operi secondo il principio di competizione e libero mercato. Carcerati e tossicodipendenti non possono scegliere il servizio migliore e sono portati nelle carceri e nelle comunità terapeutiche in maniera coercitiva. Non esiste neanche una competizione sul costo del servizio, dal momento che esso è sostenuto da sussidi governativi.
Così, si osserva che il mercato può anche operare in forma contraria all’interesse collettivo. Le istituzioni carcerarie e terapeutiche private hanno l’interesse ad ottenere il maggior numero di internamenti, senza che ciò comporti un miglioramento del servizio offerto. In questo modo la dinamica degli interessi genera una pressione degli operatori del settore sul governo affinché inasprisca le leggi sulla restrizione della libertà ed incentivi l’internamento forzato per consumatori di droghe. Oltre a ciò, la recidività dei carcerati e dei tossicodipendenti è benefica per il mercato e controproducente per la società. Studi affermano che, nel caso di internamento, il tasso di recidiva tra i tossicodipendenti è superiore al 90% dei casi.
Può anche esser mostrata la falsità dell’argomentazione per cui l’esternalizzazione può esonerare lo Stato dalle proprie responsabilità. In un’istituto pubblico, sia una prigione o un CAPS, lo Stato è direttamente responsabile per il salario dei dipendenti e per la manutenzione dei servizi. Nel caso delle comunità terapeutiche e delle case di pena private il Governo paga un contributo in base al numero di carcerati e di pazienti. In questo contributo deve rientrare oltre ai costi fissi per i salari e per la manutenzione un certo margine di profitto affinché gli operatori privati di interessino ad offrire tali servizi.
È necessario analizzare puntualmente le situazioni in cui lo Stato sostiene costi maggiori per fornire direttamente i servizi pubblici. Nella maggior parte di questi casi, i costi più elevati sono dovuti alle attività per garantire la trasparenza. I dipendenti devono avere la qualifica necessaria ed essere assunti attraverso concorsi pubblici e la spesa pubblica è giustificata e controllata attraverso bandi pubblici di appalto e pubblicità dei conti. Tale trasparenza ha come obiettivo di evitare atti indebiti ed arbitrari, rappresentando la condizione necessaria per il controllo sulle pratiche disoneste e scorrette. Nelle organizzazioni private che forniscono servizi i dipendenti sono scelti dall’azienda e l’uso del denaro pubblici non è controllato nella medesima forma rigida applicata per il monitoraggio delle spese nell’ambito pubblico.
Possibili soluzioni a questo problema potrebbero essere un controllo ed una vigilanza rigida esercitati dallo Stato sulle imprese affidatarie dei servizi pubblici. Pertanto, si giunge ad una contraddizione. Affinché si abbia una buona vigilanza dello Stato, il Governo dovrebbe dotarsi di più infrastrutture, pagare più dipendenti, sostenere maggiori costi di manutenzione in aggiunta agli altri investimenti. Inoltre, se la convinzione dei liberisti è che lo Stato sia intrinsecamente inefficiente e corrotto, a cosa servirebbe il monitoraggio? Questa è una contraddizione del discorso liberista. In realtà, in molti casi invece di divenire più efficiente lo Stato diviene il migliore collaboratore che il privato potrebbe avere.
La nozione dello Stato come luogo privilegiato della corruzione è sostenuta analogamente da pregiudizi ideologici. In verità si può affermare che lo Stato può essere efficiente ed il mercato corrotto, non essendoci alcuna relazione intrinsecamente univoca tra questi termini. La corruzione dello Stato è un problema reale che deve esser combattuto attraverso azioni di trasparenza e di accesso ai conti da parte della società. Secondo un rapporto prodotto dalla FIESP (Federazione delle Industrie dello Stato di San Paolo), il Brasile perde tra i 50,8 e gli 84,5 miliardi di real (R$) all’anno a causa della corruzione nelle istituzioni. Ciononostante la corruzione non è un’esclusiva dello Stato. Per quanto concerne la frode fiscale, classificata come corruzione privata, una ricerca dell’organizzazione britannica Tax Justice Network indica perdite maggiori per il Paese, intorno ai US$280,1 all’anno.
Pertanto, il mito del governo inefficiente e corrotto è un discorso ampiamente diffuso perché giova a molti gruppi, inclusi quelli che fanno profitti sulle spalle dello Stato medesimo. È necessario determinare politiche pubbliche orientate a ciò che sia meglio per la società nel suo complesso, senza l’interferenza indebita de ideologie e pregiudizi creati e corroborati dal senso comune.