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La primavera turca parla a tutta l’Europa

In Internazionale on 02/06/2013 at 10:40

Le proteste di Istanbul ci dovrebbero insegnare qualche cosa. In primo luogo, il capitalismo semi-democratico – quello che spesso ci viene indicato come nuovo modello di riferimento, come nell’articolo qui a fianco – non è la soluzione ai problemi dell’Europa o del mondo. L’economia turca non è in crisi, tutt’altro. Mentre l’Europa va a picco, a Istanbul e Ankara si macinano profitti. Eppure la gente, i giovani (la Turchia è uno dei paesi più giovani del mondo) protestano. Primo, sopravvivere, è sempre stato il motto dei regimi autoritari, ma panem et circensem non bastano più, almeno sul Bosforo. I giovani turchi, quelli veri, vogliono poter dire la loro, vogliono una democrazia partecipata e nel vero interesse del popolo, non ad uso dei soliti noti.

Antepongono le ragioni della loro società e della loro generazione al profitto, alla bizzarra e fallimentare idea di progresso spacciata da media, politici ed establishment economico. Fossero in Italia, sarebbero tacciati di regressismo, di far parte della solita retrograda logica del NIMBY – not in my backyard. Sarebbero dei NO TAV perchè invece di un centro commerciale che porta soldi (e profitti, e investimenti, e lavoro, e crescita, almeno così dicono..) vogliono salvare un parco e i suoi alberi, o una vecchia pasticceria simbolo della città. Non diversamente da quei tanti valsusini, piemontesi ed italiani che vogliono salvare la loro montagna, il loro territorio, la loro storia. E che in Italia sono trattati da teppisti, violenti, terroristi e comunque fuori dalla storia. Mentre in Turchia sono il simbolo della democrazia.

Questi giovani turchi raccolgono idealmente la fiamma di Occupy Wall Street e di Zuccotti Park, e degli Indignados spagnoli. Sono il 99%, quelli mai ascoltati, quelli sempre esclusi, quelli le cui ragioni, i cui bisogni vegnono sempre dopo i profitti e gli interessi delle imprese. E che ora hanno cominciato ad alzare la testa.

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